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La visita al Moria Grace Shelter

Sta finendo l’inverno qui a Windhoek, le giornate si allungano, il sole si fa ogni giorno più bollente e spesso la sera si alza un vento caldo, che solleva e trasporta la sabbia del Namib per chilometri e chilometri fino a raggiungere la città e renderla polverosa e misteriosa. Ci hanno raccontato di un posto e di una persona speciale, che dedica la sua vita a raccogliere, accudire ed aiutare i bambini di strada, gli orfani, i bambini abbandonati da tutti. E’ il Moria Grace Shelter, e si trova a Katutura, il quartiere più povero e popolare della città, l’ex-ghetto nero del periodo precedente all’indipendenza, dove ad oggi vive gran parte della popolazione di colore, soprattutto le persone più povere.
In questo turbinio di sabbia entriamo a Katutura, un pò emozionati. Con noi c’è anche Maurizio, presenza continua e rassicurante in questo viaggio all’interno del ghetto, che documenterà il nostro incontro con le sue bellissime fotografie.

Wilhelmine e Moria Grace Shelter

E’ la seconda volta che veniamo qui. La prima volta siamo venuti a conoscere Wilhelmine, la donna che con coraggio e tenacia ha fondato e sostenuto il centro dalla sua creazione, circa 20 anni fa, fino ad oggi. Ci ha accompagnato Daisry, una ragazza che nel poco tempo libero che le rimane dal suo lavoro di account manager in una importante società di advertising Namibiana, cerca di far conoscere il “rifugio” e contribuisce a raccogliere fondi per il suo sostentamento. Wilhelmine l’abbiamo incontrata alcune settimane fa, per capire innanzi tutto se si trattava di un progetto “vero”, in linea con le iniziative che stiamo tentando di portare avanti, e poi per renderci conto se potevamo fare qualcosa anche noi, se anche Scintille poteva dare il suo contributo. L’avevamo avvisata, con un pò di imbarazzo, ma con la chiarezza che ci contraddistingue: “Siamo appena nati, siamo giovani abbiamo entusiasmo ma non abbiamo ancora abbastanza forza per progetti o donazioni ”importanti!” E lei ingenua e dolce ci aveva risposto “Non è il denaro, è l’amore la cosa più importante e anche con poco si può fare tanto”.

Scintille SCINTILLE al Moria Grace Shelter

Per questo oggi ritorniamo ed entriamo di nuovo nella costruzione un po’ fatiscente e malandata, che stona decisamente con i sorrisi dei bambini che vivono al suo interno. E’ un’accoglienza davvero festosa,come sempre tutti ci corrono intorno, ci cantano le loro canzoni e ci fanno visitare la loro unica “camera da letto”, dove dormono tutti insieme. Trascorriamo il pomeriggio in compagnia di questa grande famiglia. Questi bambini sono felici e sereni, hanno trovato in Wilhemina una mamma amorevole ed attenta. Consegnamo a Wilhelmine il nostro “attestato” di donazione (con un contributo sufficiente a garantire un pasto al giorno per tutti i bimbi per un mese), e lei un po’ imbarazzata, nel suo inglese stentato, chiede ad un bambino di scrivere qualcosa per lei…lei non sa scrivere… Il bambino ci riconsegna il foglio dove, con calligrafia infantile, ha scritto: “Grazie, siamo orgogliosi di avere qualcuno come voi che si accorge di noi. Dio vi protegga”, lo stesso Dio con cui Wilhemina sta saldando il suo debito….

Scintille Il rifugio Moria Grace

Il centro Moria Grace Shelter sorge nel quartiere popolare di Katutura, a Windhoek, in Namibia. Ospita attualmente 33 bambini, di tutte le età. La più piccola, è arrivata solo da qualche settimana. Ha un faccino paffuto e sorridente nonostante la vita fin dai suoi primi giorni non sia stata molto tenera con lei. E’ stata trovata vicino ad un cassonetto della spazzatura, abbandonata quando aveva pochi giorni. Ha un nome che le augura un destino magico: è impronunciabile nella sua lingua originale Damara, ma significa “Colei che è nata due volte”.
Gli altri appartengono davvero a tutte le fasce di età, fino agli adolescenti.
Ci sono diversi tanti bambini, ospitati al Moria Grace: bambini di strada che vivevano sotto i ponti o nelle fogne, raccolti per strada per dare loro un posto dove vivere e dare loro l’opportunità di andare a scuola; orfani e bambini abbandonati, bambini i cui genitori sono in prigione, che vivevano con lontani parenti che li maltrattavano o non li curavano oppure bambini che provengono da villaggi o fattorie nei quali non avevano possibilità di andare a scuola. Tutti i bambini hanno ora la possibilità di andare a scuola. Quando diventano grandi, il centro organizza raccolte di fondi per pagare anche corsi professionali che aiutino i ragazzi a collocarsi nel mondo del lavoro.

Cosa possiamo fare ancora: un po’ di numeri

Scintille può continuare a contribuire al sostentamento e allo sviluppo di questo centro, con altre iniziative, anche mirate a specifici progetti.
Vogliamo condividere con voi un po’ di “numeri”, solo due esempi che secondo noi sono significativi:
–  Con 110 euro tutti i bambini attualmente ospitati nel centro possono nutrirsi per un mese
– Con 50 euro si può dare la possibilità ad un adolescente di frequentare un corso professionale per l’utilizzo del computer, permettendogli di entrare più facilmente nel mondo del lavoro

La storia di Wilhelmine Afrikaner: l'inizio

Sono nata ad Aranos il 5 Maggio del 1958. Mia madre era molto povera e non aveva studiato. La nostra vita era difficile e a stento riuscivamo a sopravvivere. Avevamo dei parenti che vivevano a Windhoek e che venivano spesso a trovarci. Quando i miei cugini venivano a casa nostra, con i loro bei vestiti colorati e le loro belle macchine, io pensavo che la vita a Windhoek doveva essere bella. In quei momenti pensavo che un giorno anch’io sarei andata a Windhoek, avrei potuto lavorare, guadagnare e prendermi cura di mia madre.
Quando arrivai a Windhoek era il 1976. Andai a vivere a Katutura proprio di fronte alla chiesa Luterana. Era il periodo in cui noi persone di colore avevamo bisogno di un lasciapassare per muoverci; senza quello tu non potevi andare a vivere a Windhoek, neppure a casa di qualcuno, se provenivi da altre zone della Namibia. Cominciai a capire che non era poi così facile vivere a Windhoek. Spesso la polizia arrivava nelle case alla mattina presto per verificare se c’erano “ospiti” illegali che vivessero lì. Avevamo l’abitudine di allertarci a vicenda, così riuscimmo a non essere mai catturati dalla polizia. Per evitare di essere scoperti, eravamo soliti legarci con delle cinghie alla parte inferiore dei letti. La polizia arrivava, spostava i letti contro il muro per vedere se c’era qualcuno nascosto sotto, ma noi riuscivamo ad ingannarli immobili aggrappati al letto stesso. Ogni mattino, era la stessa storia.

La storia di Wilhelmine Afrikaner: Marta

Avevo un’amica in quel periodo. Si chiamava Marta e veniva da Maltahohe. Un giorno mi riferì che qualcuno le aveva detto che avremmo potuto andare a vivere a Kupferberg (che per me era uno stranissimo posto), una grande discarica di immondizia. Apparentemente sembrava un posto tranquillo. Quando arrivammo a Kupferberg, mi resi conto che lì la vita quotidiana era senz’altro molto peggio che a Katutura, anche se sotto i continui raid della polizia. Non c’era acqua, non avevamo vestiti, neanche abbigliamento intimo. Scavavamo dei buchi, ci coprivamo di terra e di vecchi giornali per non avere freddo. A Kupferberg, si raccoglieva tutta la gente che non aveva un lasciapassare. Ci vestivamo con giornali e sacchetti di plastica e mangiavamo il cibo buttato via nell’immondizia. La situazione era insopportabile, ma almeno potevamo dormire tranquilli, senza il terrore delle incursioni della polizia. Ogni tanto, scavando tra l’immondizia della discarica alla ricerca di vestiti e cibo, trovavamo delle grandi coperte in cui erano avvolti dei corpi: bambini, neonati e donne. Era una situazione agghiacciante.
Non c’era acqua e quando non pioveva per lunghi periodi non avevamo niente da bere. Nessuno alla discarica, tra gli adulti, abusò mai sessualmente di noi, ma spesso alcuni ricchi uomini bianchi venivano alla discarica e violentavano le ragazze, a volte le uccidevano. Quando venivano, per evitare di essere uccise, dovevamo sorridere e permettere loro di abusare di noi, in modo che risparmiassero la nostra vita. Spesso più di un uomo ci violentava nello stesso giorno. Il mio corpo era perennemente ferito e dolorante.
La mia amica Marta, che mi aveva condotto lì, purtroppo morì alla discarica. Quel giorno ricordo una macchina bianca che guidava molto lentamente lungo la discarica. Quando le vedemmo iniziammo a correre forte, ma Marta non riuscì a scappare. La presero di forza e la misero in macchina. La violentarono a turno, più volte. Quando ebbero finito la lasciarono moribonda sulla strada, colpendola ancora con bottiglie di birra. Quando se ne andarono tentai di soccorrerla; era ferita e sanguinava molto e sapeva che non sarebbe sopravvissuta a lungo. Mi pregò di riportarla a casa sua dove nessuno le avrebbe fatto ancora del male. Provammo a portarla via da quel posto ma lei morì dopo tre giorni. Fu allora che io decisi che non volevo più nascondermi. Iniziai a piangere e urlare forte, disinteressandomi del fatto che qualcuno avrebbe potuto uccidermi.

La storia di Wilhelmine Afrikaner: la rinascita

Dio fu veramente buono con me quel giorno: fu proprio allora che una anziana signora bianca arrivò alla discarica. Fu molto gentile con me e mi chiese se potevo aiutarla a trovare vecchie batterie di auto di cui voleva utilizzare alcune parti. Tornò spesso e iniziò a portare cibo fresco e “millipap”. Noi le eravamo davvero grati. Iniziai a confidarmi con lei e le raccontai la storia di Marta e della sua morte. Un giorno lei mi fece salire sulla sua macchina e mi portò a casa sua. Nelle case dei bianchi non c’erano i raid della polizia e lei si prese cura amorevolmente di me. Iniziai a lavorare nella sua casa come domestica. Dopo un po’ di tempo, dovendo lasciare Windhoek, mi “passò” ad un’altra famiglia dove restai per molti anni, dato che non avevo bisogno di un lasciapassare per vivere lì. In quel periodo inizia a pensare che dato che Dio era stato così buono con me da salvarmi la vita quando vivevo alla discarica, io avrei dovuto ricambiare prendendomi cura dei bambini che non erano fortunati come me. I pochi soldi che guadagnavo li mettevo da parte per mia madre e per i bambini. Quando avevo del tempo libero dal lavoro di domestica, facevo altri lavoretti, arrivavo anche a prostituirmi pur di mettere da parte del denaro che nascondevo ogni volta in lattine vuote. Quello che avevo visto alla discarica mi bruciava ancora dentro. Il mio più grande desiderio’ era avere una casa in cui prendermi cura dei bambini di strada. Avevo sempre in mente quei corpi di bambini che trovavamo nei rifiuti. Nei week end tornavo alla discarica a controllare se c’erano altri bambini morti.Quando tornavo a casa, ripetevo ai miei padroni che volevo una casa e loro mi chiedevano come pensavo di comprarla con i soldi che guadagnavo, ma io continuavo a risparmiare. Quando alla radio sentivo di bambini scomparsi, mi rammaricavo e mi disperavo di non aver ancora potuto mettere in piedi la mia casa.

La storia di Wilhelmine Afrikaner: il progetto

Andai avanti così, lavorando e risparmiando fino a che arrivai ad avere 25 lattine piene di denaro. A quel punto andai al municipio a chiedere per una casa. La persona con cui parlai mi disse di cercare qualcuno di più anziano che mi rappresentasse, ero troppo giovane per avere una casa. Io gli risposi che ero disposta a concedermi a lui in cambio di avere una casa e lui accettò lo scambio. Non mi importava niente di me: avevo sempre in mente Marta e quei bambini morti alla discarica.
Fu così che ottenni la mia prima casa con una sola camera da letto.
Iniziai allora a cercare quei bambini le cui madri lavoravano, chiedendo alle donne di contribuire solo con una tazza di farina e una di zucchero al giorno. Ero l’unica nel ghetto nero che faceva una cosa del genere. Il centro si chiamava “Sonop Shelter”. Un giorno i servizi sociali dello stato organizzarono un incontro e vennero a trovarmi. Le persone incaricate di venirmi a incontrare erano molto eleganti e sembravano importanti. Mi chiesero delle informazioni su di me, della documentazione, degli attestati. Durante tutto il tempo in cui loro parlarono io restai in silenzio ed ascoltai. Quando ebbero finito, io tesi verso di loro la mia mano destra e dissi che quello era il mio certificato. Spiegai loro che avevo promesso a Dio che mi sarei sempre presa cura dei bambini. Dopo quell’incontro, i servizi sociali iniziarono la loro indagine su di me.

La storia di Wilhelmine Afrikaner: il centro

Fortunatamente anche altre persone, oltre agli esponenti dello stato, erano presenti all’incontro. Una di loro era la Sig.ra Trubody, che era una donna davvero caritatevole. Lei puntualizzò che i bambini erano felici e che il “rifugio” era molto pulito. Lei iniziò a sostenermi ed appoggiarmi. Con il suo aiuto, riuscimmo ad ampliare la casa e costruire una grande camera da letto per i bambini che utilizziamo ancora oggi. Io cercavo di incoraggiare le mamme di tutta la zona a creare in casa loro dei centri in cui aiutare i bambini delle altre mamme che lavoravano. Andavo di casa in casa per vedere cosa succedeva e capire se tutto era a posto.
Ho iniziato questo lavoro non per spirito di competizione, ma con il solo scopo di evitare che quelle stesse brutte cose successe a me potessero succedere ad altri.
Non voglio guadagnare soldi, ma la cura dei bambini è assolutamente indispensabile nei sobborghi “neri”. Solo così i bambini possono vivere sicuri, non essere investiti dalle auto (che è purtroppo comune), non essere maltrattati e abusati.
Così è nato il centro che oggi si chiama “Moria Grace Shelter” e che sta svolgendo la sua opera ormai da più di 20 anni.