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La visita al Moria Grace Shelter

In questo turbinio di sabbia entriamo a Katutura, un pò emozionati. Con noi c’è anche Maurizio, presenza continua e rassicurante in questo viaggio all’interno del ghetto, che documenterà il nostro incontro con le sue bellissime fotografie.
Wilhelmine e Moria Grace Shelter

Scintille SCINTILLE al Moria Grace Shelter

Scintille Il rifugio Moria Grace

Gli altri appartengono davvero a tutte le fasce di età, fino agli adolescenti.
Ci sono diversi tanti bambini, ospitati al Moria Grace: bambini di strada che vivevano sotto i ponti o nelle fogne, raccolti per strada per dare loro un posto dove vivere e dare loro l’opportunità di andare a scuola; orfani e bambini abbandonati, bambini i cui genitori sono in prigione, che vivevano con lontani parenti che li maltrattavano o non li curavano oppure bambini che provengono da villaggi o fattorie nei quali non avevano possibilità di andare a scuola. Tutti i bambini hanno ora la possibilità di andare a scuola. Quando diventano grandi, il centro organizza raccolte di fondi per pagare anche corsi professionali che aiutino i ragazzi a collocarsi nel mondo del lavoro.
Cosa possiamo fare ancora: un po’ di numeri

Vogliamo condividere con voi un po’ di “numeri”, solo due esempi che secondo noi sono significativi:
– Con 110 euro tutti i bambini attualmente ospitati nel centro possono nutrirsi per un mese
– Con 50 euro si può dare la possibilità ad un adolescente di frequentare un corso professionale per l’utilizzo del computer, permettendogli di entrare più facilmente nel mondo del lavoro
La storia di Wilhelmine Afrikaner: l'inizio

Quando arrivai a Windhoek era il 1976. Andai a vivere a Katutura proprio di fronte alla chiesa Luterana. Era il periodo in cui noi persone di colore avevamo bisogno di un lasciapassare per muoverci; senza quello tu non potevi andare a vivere a Windhoek, neppure a casa di qualcuno, se provenivi da altre zone della Namibia. Cominciai a capire che non era poi così facile vivere a Windhoek. Spesso la polizia arrivava nelle case alla mattina presto per verificare se c’erano “ospiti” illegali che vivessero lì. Avevamo l’abitudine di allertarci a vicenda, così riuscimmo a non essere mai catturati dalla polizia. Per evitare di essere scoperti, eravamo soliti legarci con delle cinghie alla parte inferiore dei letti. La polizia arrivava, spostava i letti contro il muro per vedere se c’era qualcuno nascosto sotto, ma noi riuscivamo ad ingannarli immobili aggrappati al letto stesso. Ogni mattino, era la stessa storia.
La storia di Wilhelmine Afrikaner: Marta
Avevo un’amica in quel periodo. Si chiamava Marta e veniva da Maltahohe. Un giorno mi riferì che qualcuno le aveva detto che avremmo potuto andare a vivere a Kupferberg (che per me era uno stranissimo posto), una grande discarica di immondizia. Apparentemente sembrava un posto tranquillo. Quando arrivammo a Kupferberg, mi resi conto che lì la vita quotidiana era senz’altro molto peggio che a Katutura, anche se sotto i continui raid della polizia. Non c’era acqua, non avevamo vestiti, neanche abbigliamento intimo. Scavavamo dei buchi, ci coprivamo di terra e di vecchi giornali per non avere freddo. A Kupferberg, si raccoglieva tutta la gente che non aveva un lasciapassare. Ci vestivamo con giornali e sacchetti di plastica e mangiavamo il cibo buttato via nell’immondizia. La situazione era insopportabile, ma almeno potevamo dormire tranquilli, senza il terrore delle incursioni della polizia. Ogni tanto, scavando tra l’immondizia della discarica alla ricerca di vestiti e cibo, trovavamo delle grandi coperte in cui erano avvolti dei corpi: bambini, neonati e donne. Era una situazione agghiacciante.
Non c’era acqua e quando non pioveva per lunghi periodi non avevamo niente da bere. Nessuno alla discarica, tra gli adulti, abusò mai sessualmente di noi, ma spesso alcuni ricchi uomini bianchi venivano alla discarica e violentavano le ragazze, a volte le uccidevano. Quando venivano, per evitare di essere uccise, dovevamo sorridere e permettere loro di abusare di noi, in modo che risparmiassero la nostra vita. Spesso più di un uomo ci violentava nello stesso giorno. Il mio corpo era perennemente ferito e dolorante.
La mia amica Marta, che mi aveva condotto lì, purtroppo morì alla discarica. Quel giorno ricordo una macchina bianca che guidava molto lentamente lungo la discarica. Quando le vedemmo iniziammo a correre forte, ma Marta non riuscì a scappare. La presero di forza e la misero in macchina. La violentarono a turno, più volte. Quando ebbero finito la lasciarono moribonda sulla strada, colpendola ancora con bottiglie di birra. Quando se ne andarono tentai di soccorrerla; era ferita e sanguinava molto e sapeva che non sarebbe sopravvissuta a lungo. Mi pregò di riportarla a casa sua dove nessuno le avrebbe fatto ancora del male. Provammo a portarla via da quel posto ma lei morì dopo tre giorni. Fu allora che io decisi che non volevo più nascondermi. Iniziai a piangere e urlare forte, disinteressandomi del fatto che qualcuno avrebbe potuto uccidermi.
La storia di Wilhelmine Afrikaner: la rinascita

La storia di Wilhelmine Afrikaner: il progetto
Andai avanti così, lavorando e risparmiando fino a che arrivai ad avere 25 lattine piene di denaro. A quel punto andai al municipio a chiedere per una casa. La persona con cui parlai mi disse di cercare qualcuno di più anziano che mi rappresentasse, ero troppo giovane per avere una casa. Io gli risposi che ero disposta a concedermi a lui in cambio di avere una casa e lui accettò lo scambio. Non mi importava niente di me: avevo sempre in mente Marta e quei bambini morti alla discarica.
Fu così che ottenni la mia prima casa con una sola camera da letto.
Iniziai allora a cercare quei bambini le cui madri lavoravano, chiedendo alle donne di contribuire solo con una tazza di farina e una di zucchero al giorno. Ero l’unica nel ghetto nero che faceva una cosa del genere. Il centro si chiamava “Sonop Shelter”. Un giorno i servizi sociali dello stato organizzarono un incontro e vennero a trovarmi. Le persone incaricate di venirmi a incontrare erano molto eleganti e sembravano importanti. Mi chiesero delle informazioni su di me, della documentazione, degli attestati. Durante tutto il tempo in cui loro parlarono io restai in silenzio ed ascoltai. Quando ebbero finito, io tesi verso di loro la mia mano destra e dissi che quello era il mio certificato. Spiegai loro che avevo promesso a Dio che mi sarei sempre presa cura dei bambini. Dopo quell’incontro, i servizi sociali iniziarono la loro indagine su di me.
La storia di Wilhelmine Afrikaner: il centro

Ho iniziato questo lavoro non per spirito di competizione, ma con il solo scopo di evitare che quelle stesse brutte cose successe a me potessero succedere ad altri.
Non voglio guadagnare soldi, ma la cura dei bambini è assolutamente indispensabile nei sobborghi “neri”. Solo così i bambini possono vivere sicuri, non essere investiti dalle auto (che è purtroppo comune), non essere maltrattati e abusati.
Così è nato il centro che oggi si chiama “Moria Grace Shelter” e che sta svolgendo la sua opera ormai da più di 20 anni.